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Vermillion Sands intervista su Music Zoom

  • Quando ancora esisteva il buon Myspace, mi imbattei in una band che suonava stranamente familiare alle mie orecchie appena tornate dal frastuono sonoro americano. Per cui sapere a distanza di anni della pubblicazione di un singolo contenente due pezzi veramente fenomenali, non ha fatto altro che attirare l’attenzione del sottoscritto come il miele farebbe con le api. Con l’uscita di Summer Melody, cogliamo l’occasione per scambiare due chiacchiere con Anna, chitarra e voce del gruppo, attualmente negli States.


    Quando e come è iniziata la storia dei Vermillion Sands?
    I Vermillion Sands sono nati nella primavera del 2008. Io e Nene abbiamo cominciato a registrare delle canzoni che avevo scritto io e che non avevo mai fatto sentire a nessuno. A Gigi della Rijapov Records sono piaciute e ha deciso di far uscire il primo singolo (Mary); dopodiché alla band si sono aggiunti Caio e Krano ed ecco formati i Vermillion Sands.

    Il vostro nuovo 7’’ Summer Melody, edito per Shit Music for Shit People, produce un certo impatto all’ascolto. Dopo alcuni anni di attività, ciò è segno di una maggiore convinzione nei propri mezzi?

    Il nostro approccio alla musica non è mai cambiato più di tanto, però effettivamente ascoltando il primo disco si nota una certa differenza. Dubito che si tratti di maggior convinzione, ma sono contenta del fatto che a distanza di circa tre anni la nostra musica si sia evoluta.

    Oltre ad una evidente elettricità garage, nel vostro suono alcuni indicano la presenza di indubbie contaminazioni folk-rock. Avete delle influenze riconoscibili od ascolti di riferimento comuni?

    Il Folk americano ci è sempre piaciuto moltissimo. Personalmente, uno dei musicisti che più mi ha influenzato, soprattutto all’inizio, è stato Robert Johnson. Io e Nene all’inizio ci divertivamo a suonare cover di Hank Williams e della Carter Family. Però durante i tour abbiamo sempre ascoltato musica diversa, dal Country all’Hip Hop, passando per autori innominabili per il semplice gusto di ascoltare musica che facesse ridere.

    Dopo un tour notevole in mezza Europa, avete suonato nella East Coast. Come è stato recepito il vostro sound negli States?
    Io ho un bellissimo ricordo di quel tour. La prima cosa che avrei voluto fare appena tornata a casa sarebbe stata ripartire e ricominciare un altro tour del genere magari nella West Coast. Siamo stati accolti benissimo. La gente ballava e voleva il disco. Ogni sera c’era qualcuno che ci chiedeva se sapevamo dove andare dopo il concerto e ci offriva un materasso/divano/pavimento dove andare a dormire. Alcune delle persone che abbiamo conosciuto durante quel tour sono poi diventate amici con cui ci sentiamo regolarmente. L’unica serata “no” è stata a Brooklyn dove davvero è stato difficile suonare. Immaginati un pubblico di maledetti hipster che ti fissano immobili per 45 minuti, io avrei voluto mettere giù la chitarra e andarmene via.

    E com’è l’Italia vista da laggiù?
    L’Italia vista da laggiù-quaggiù è un paese distante, non bene identificato, dove fa molto caldo, dove si mangiano la pasta e la pizza tutti i giorni e dove la maggior parte della gente è povera e non ha la corrente elettrica. Per fortuna non la pensano tutti in questo modo, ma queste sono le cose che mi sono sentita dire un milione di volte e che mi sento ancora dire qui ad Atlanta dove mi trovo in questo momento.

    Finora avete pubblicato dischi per sei differenti label: Alien Snatch, Sacred Bones, Fat Possum, Rijapov, Hell!Yes ed ora con Shit Music for Shit People. Segno anche di una notevole frammentazione del mercato discografico attuale. Come vi districate all’interno dell’odierna giungla sonora?
    E’ bello poter collaborare con persone diverse, e il fatto di aver fatto uscire la nostra musica per etichette differenti ci ha dato l’opportunità di essere conosciuti e anche apprezzati da un pubblico sempre differente. E’ così che cerchiamo di districarci all’interno dell’odierna giungla sonora.

    Una giungla sicuramente florida quella dei Vermillion Sands, composta da una vegetazione rigogliosa ed affascinante, in cui ci si fa strada con tutto il talento di cui la band è a disposizione. Certo che fa strano ascoltare Summer Melody sotto la neve. In attesa di un’estate che, almeno qui in Italia, tarda ad arrivare, ci coccoliamo questo singolo dei Vermillion Sands. Sperando di poterlo presto assaporare nelle sue condizioni climatiche originali.

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